Parliamo delle mie donne – Film –

C’è un tempo non stabilito nel nostro cammino d’esistenza, adatto ai riscatti, giungere come una folata di vento improvvisa, una profezia; forse a lungo attesa. Le somme, i grovigli, i pedaggi ci raggiungono quasi scientemente quando la nostra vita ha stemperato la sua evoluzione egoistica e interiore, soprattutto, il compito per cui non sappiamo l’assegnazione quantistica che ci sia stata riservata. Sanare le pendenze senza calcolo prestabilito, quasi fosse, “quell’istante”, l’unico redentore possibile. Ci si accosta ai propri pensieri più profondi stabilendo la quantità di mancanze che siamo stati capaci d’infondere consapevolmente negli altri, destinandoli a parziali liberi arbitri, a ruoli di possibili scelte irresponsabili. Siamo il vertice della nostra ricerca e affermazione, anche nei confronti di un primario talento riconosciuto, fortemente perseguito e da condividere, assegnatoci come una missione. Forse per questo non riesco a condannare completamente il cinismo, a tratti, del protagonista di questa storia. Trovo ci sia stato del buono in quella superficialità nei confronti di ciò che avrebbe dovuto, invece, essere un debito da onorare rivolto al bene supremo dei figli che, forse, con troppa leggerezza e assecondando i deisideri terzi di maternità si sono procreati. Accompagnare, come un mantra, i tratti di quella nuova, momentanea unione sentimentale, ricercando ogni volta qualcosa in più per se stessi, senza preoccuparsi di quanto si sarebbe potuto effettivamente contraccambiare. Certamente l’agiatezza, lo “status” ha consentito di non dedicare pensieri pratici, ma di accettare, pedissequamente, il dono, la sfida di quei rapporti, pur se destinati a un termine quasi certo. Soltanto a ridosso di una possibile dipartita la consapevolezza, fino a quel “mentre” disattesa, prende saldamente nelle mani le redini di ogni coscienza e insegna, pur se tardivamente, il senso intrinseco del proprio viaggio terreno. Il destino fu un buon alleato, generoso, raccogliendo, al termine, tutti i “frutti” di discendenza della sua intensa e lunga vita intorno a sé, fino all’ultimo respiro stabilito. La forma di coraggio o codardia, assume in quel momento l’esatta corrispondenza di una scelta, pronta a riscattare ogni possibile pentimento o altro giro di giostra. Fu amato davvero molto, comunque, provando lui stesso, all’ultimo, l’intenso amore per una donna. Fu questo a rendergli il perdono di se stesso. Non ci fu più attesa di altri ripensamenti, mondati alla fonte da ogni altra, plausibile ragione.

Come al solito, non era il narrarvi della trama il mio interesse, ma comunicarvi uno punto di vista personale su ciò che, a parer mio, è stato ben rappresentato. Voto alto per questo film d’Autore di Claude Lelouch, un po’ meno per il protagonista Johnny Hallyday, ma ampi consensi per tutte le attrici/attori che muovono le scene un po’ statiche di questa pellicola, giungere a noi con qualche anno di ritardo dalla sua prima uscita cinematografica (2014). Titolo originale: Salaud, on t’aime  (traduzione letteraria: Stronzo, ti amiamo). Con un po’ di coraggio in più, forse, la pellicola avrebbe meritato anche in italiano questo titolo.

© Roberto Anzaldi

 

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