Linfe di grafia

A volte, dopo aver scritto molto, dopo aver gratificato l’urgenza del pensiero e il suo ostinato bisogno di visione, sento venire meno le parole. Per giorni mi esprimo a fatica, tra la gente. Semplici termini sono spesso claudicanti, farraginosi, così come intuisco essere inferiore il desiderio di sostenere confronti altrui. L’assemblea interna delle mie lettere adagiate asseconda quel bisogno di sostare, come fosse un campo a riposo dopo una giusta mietitura. Così taccio, per un po’, riconoscendo al mio silenzio una forte volontà riposta prima di un tempo adatto, dedicato a nuova semina, altre inconsapevoli culture. Mi apparto senza inutili calcoli di tempo dentro uno spazio amico — la mia casa — in cui possa ritrovare il respiro calmo delle mie emozioni, senza strappi né doveri aggiunti. Nonostante il tacere valutato si consegni facilmente a ragioni inverse; opportunità per le inquietudini, libere di sottrarsi scaltramente agli accerti, mi sottraggo con garbo a frequentazioni non necessarie, così come ai luoghi affollati, alle compagnie chiassose, ad alcuni versanti della vita più esposti, attendendo paziente la magia di un’ultima fioritura, un’altra intensa stagione posarsi sulle labbra. Così, il terreno fertile dei miei pensieri dormienti — ancora una volta — germoglia quieto in concetti che sorprendono, colorati di autentiche parole da onorare. Gli accordi di vaste terre incontrate dagli occhi lentamente si rinfrancano, come bisogno di sentirsi radice in cammino del proprio sogno, lambito dall'affrettarsi scomposto di venti dispettosi, mutanti in stagioni. È densa linfa di grafia, a ripercorrere gli istanti venuti da lontano, poi, finiti altrove, oltre i rimpianti e le assenze. Tutti gli antichi legami rimasti sotto la pelle, anche quelli sospesi a un giudizio mai più affermato...
(Segue sul libro "Linfe di grafia")

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“Diverse le attribuzioni e paternità della sua straordinaria invenzione, già risalente alla metà del XVIII secolo. Varie le fogge, i materiali, così i suoi meccanismi sempre più sofisticati, precisi e veloci. Un’idea sorprendente che ha trasversalmente accompagnato il tempo e le volontà di “stesura” dei più grandi scrittori del passato e di molti contemporanei. L’inconfondibile suono dei tasti premuti con impegno nelle notti insonni cariche di ispirazione. Un “carrello” da dover manovrare riportandolo ai blocchi di partenza, pronto per un’altra corsa sulla riga delle parole e dei concetti a formarsi piano piano sotto lo stupore di occhi attenti, consapevoli.
Come per ogni idea di buon Cavaliere del passato, la spada rappresentò  un segno di ardimento e virtù, così la macchina per scrivere (o da scrivere) resterà sempre, per uno scrittore, il simbolo, la memoria trascorsa e chiassosa dei suoi pensieri e del loro valore in attesa di essere condiviso.”

© Roberto Anzaldi