Vite Svoltate

– Liberamente tratto da Zorro, di Margaret Mazzantini –

Come mi diceva qualcuno, credo di rammentare… ma non ricordo più chi fosse, un giorno qualsiasi il piano in cui poggiava la tua indubbia vita s’inclinerà senza preavviso, e tutto ciò che immaginavi avesse colore, differenti gradazioni, diventerà improvvisamente monocromatico. Se potessi percepire soltanto un attimo prima quella “vocina” afona, dirti che il tombino in cui stai per precipitare ha il coperchio sollevato, potresti scegliere – almeno – con che sfumature sprofondarci. Ma la scossa arriverà impunita, invece, a terminarti rapidamente i pensieri. Ti sorprenderà senza possibilità di disubbidienza alcuna, spinto da una strana forza invisibile. Tanto subdola quanto capace di soffiarti fuori da quelle poche certezze che a stento trattenevi.
Più sarà stato lucidato quel piano e più rapidamente ne scivolerai via, quasi proiettato di lato alla tua vita che sembrava essere una retta perfetta, disegnata con precisione assoluta su fogli di carta millimetrata. Perfetta, pensavi, fredda ma sicura… protetta. Tornerai a essere scolaro di un mondo che più non ti apparterrà. Imparerai, ma già avresti dovuto intuirlo, che tutto muterà, tutto camminerà sottosopra, senza retromarce da poter innestare. Lascerai case, mogli, figli, affetti, abitudini; le più difficili da liberare. Ti inoltrerai, senza più voltarti, verso il tempo scandito soltanto da un “te stesso” che più non saprai osservare in quegli inumani riflessi deformi. Nulla più sarà necessario nel vortice in cui annegherai i tuoi fallimenti. Demoni galoppanti, silenziati da intrugli che piegheranno viscere, compagni del freddo mortale che si accomoderà nell’anima per non abbandonarla mai più.
Sapevo di storie… una volta, di uomini e donne che avevano perduto un pudore che era comune agli altri. Anime perse che sognavano binari in cui gente, ai lati, osservava indulgente i loro volti stanchi e gli sorrideva. Lunghi binari, dritti, infiniti. Non c’era paesaggio a sfrecciare veloce in quei racconti, perché era l’uomo che contava, con i suoi valori calpestati ma digeriti da quel mondo abbandonato di cui erano stati solo un frammento.
L’uomo da cui ti sarai separato rimarrà una memoria fosca, un parente lontano, dimenticato dalle virtù e allontanato da ogni perdono.
Non sarà più possibile raddrizzare quel piano, quasi mai potrà accadere. Difficile! Avrai vissuto gli anni di “fuori”, in tutti i sensi. Fuori da te stesso e dalle responsabilità disattese. Nessun’altra possibilità ricercata. Rimarrai distante dalle carezze e dagli occhi di chi avrà sfiorato appena quel tuo incomprensibile spazio. Anche quella, però, sarà considerata una possibile vita: sottratta, scollata, capitata, ma con la dignità di averla inizialmente maledetta e poi accettata senza nuove ribellioni.
E pensare che un giorno perduto, prima di avere addosso solo quegli strati di pezze scompaginate, anch’io facevo, pensavo tutto come voi. Ero una parte riconosciuta di quel meccanismo in ”bolla” perfetta. Vivevo di altre certezze, dentro le cose, di fianco alle persone, pensando di esserne interprete. Gli sguardi del mondo erano ancora un aiuto e davano coraggio, qualche volta. Il precipizio era soltanto una mera astrazione.
Anche adesso, però, mi succede di sentirmi come voce di un’eufonia. Senza inganno e non lì, dentro un altro cielo e la sua misura di tempo che non posso tradurre, ma che ho imparato ad abitare. In cui non esistono più luridi cartoni a farmi riparo, né strazio, insulti e neppure sgomenti. Nessun timore né frastuoni molesti. L’attesa è soltanto un sorprendente concetto di quiete… un dono perpetuo.
C’è sempre qualcuno da poter incontrare, in questo spazio che non saprei umanamente raccontare. Un sorriso buono da condividere e la sottile armonia gratifica più di quelle vecchie parole, malvagie e abbandonate per sempre in qualche antico luogo di terra contesa.
Nell’immensa luce di questo infinito, lucido piano, la pronuncia di ogni forma in ascolto è pienamente consapevole che non si potrà mai inclinare. Non questo, almeno, non qui!

© Roberto Anzaldi

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