Dieci le nostre dita, scritte in sacri precetti,
spettano al verbo di pietrose tavole incise,
spirituali nei gesti, così per i verbi d’amore,
di speculari segni ad attraversarne i palmi.
Dentro vivide mani mutevoli quelle pieghe,
leggono un calore, altri significati impressi,
essere supplica, urgenza di perdoni rimossi.
Come intrecci si uniscono accostandosi forti,
infinite le espressioni in assenza di un verbo,
sovrastano inutili parole, pronunciano i moti.
Forza, disperazione, pace, devozione, conforto,
di messaggi limpidi ne accompagnano un verbo
come libri aperti, scritti nei gesti di falda muta.
Corporee in quel solcare altre forme increspate,
ardono di rivelazioni odorose, certi intimi segreti
fremere nel tacere di pose vibrate, angoli offerti,
tra dolci spasmi nei dissimili abbracci avvicinati.
Mani vissute per nutrire volti, saziare, implorare,
capaci di accenti muti, porgere luce senza vista,
donare ascolti in sordità antiche di occhi madidi,
come quel narrare lusinghe, squallide menzogne.
Mani aperte attendono transiti di segni concessi,
speranze calzanti, i favori serrare nuove simbiosi,
mantenendo i colori di un’anima nelle sue allerte,
sapendo dai lividi freddare cuori in gelidi contatti.
© Roberto Anzaldi