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Faccio responsabilmente una cosa, ora: scrivo questa recensione prima di aver finito di leggere questo libro; sono alla pagina 51 su un totale di 191.
Sono una raccolta di articoli scritti nei primi anni 90, in una rubrica settimanale della Stampa intitolata: “Barnum”, appunto. Molti dei quali, non tutti, sono stati qui raccolti e riproposti, tali e quali (così asserisce l’autore), in questa pubblicazione edita da Feltrinelli. Quello che mi chiedo semplicemente è, vista la scarsa o pressoché nulla possibilità di chi, come scrittore sconosciuto, non ha voce, il perché di questa ulteriore “necessità” editoriale – come di mille altre di questo tipo, in verità -. Non sarebbe stato meglio avere una visione più illuminata e dare un’opportunità in più a un esordiente? Gli editori, ma anche gli stessi scrittori affermati, non dovrebbero possedere più “ragioni” intellettuali? Perché il senso delle parole, in quanto tali, non dovrebbe essere un bene comune, o lo è soltanto per loro, per la “casta”, intendo?
Finirò il libro, ma nulla confonderà gli aspetti di queste mie parole. Ho la netta impressione che sia, in gran parte, un’operazione commerciale, uno spazio riempito di cose già scritte che nulla aggiungono, anzi, sottraggono (vedi sopra) ad altri possibli intenti.
Vorrei affermare, in questo senso, il desiderio di poter riconoscere maggiore onestà, soprattutto da chi, delle parole – dice – di averne fatta una primaria ragione di vita.
P.S.
finito di leggere oggi ( 08.06.2014) , ma resta lo stesso pensiero di ciò che “preventivamente” avevo scritto.
© Giugno 2014 – Roberto Anzaldi