Boyhood – Film –

locandina-boyhoodAlcuni giorni fa, ho avuto il piacere (consigliatomi da un’amica, che ringrazio) di vedere questo film; poi lasciato a sedimentare giusto quel po’ tra i pensieri, prima di scriverci alcune mie considerazioni. Forse è addirittura riduttivo chiamarlo semplicemente così. Visto sotto l’aspetto cinematografico e non tanto per la fotografia o per le particolari riprese, ma per il fatto di essere stato realizzato nell’arco di 12 anni. Sì, avete letto bene: dodici anni di episodiche riprese, frammenti, tasselli di un futuro, identico mosaico. Gli attori che l’hanno interpretato sono esattamente gli stessi, cresciuti lentamente insieme alla storia e alle sequenze del film. Una prospettiva che lascia disorientati sulle coraggiose intenzioni del regista Richard Linklater. Sono entrato subito in empatia con il mite personaggio bambino dell’inizio del film. In una delle prime scene girate all’interno di un’auto, la giovane madre; separata da un marito altrettanto giovane e non ancora “adatto” a quel gravoso ma straordinario impegno di essere padre, dice al figlio di aver parlato con i professori che lamentavano il fatto della sua poca attenzione durante le ore di lezione, di come fosse costantemente con lo sguardo rivolto verso la finestra. Beh, io mi ci sono rivisto esattamente in quel contesto, anche se per motivi estremi . Persi mio padre all’età di sette anni e per moltissimo tempo, tutto mi sembrò non avere più un senso preciso. Rifugiavo il mio dolore nell’immensità del cielo e nel silenzio, senza trovare risposte alle mie piccole, devastanti domande. Soffrivo senza possedere nessuno strumento per contrastare quell’intralcio di vita. Soltanto l’inesorabile passaggio del tempo avrebbe, ma soltanto in parte, allentato il morso di quella perdita eterna.
Come dicevo, un film molto ben recitato, tra l’altro, che narra la vita, semplicemente. La quotidianità, le scelte; non sempre giuste, i timori, le mancanze, le frenesie, le angosce, ma anche le attese dei riscatti. La straordinaria forza dei sentimenti e dell’esserci nonostante gli errori e tutto ciò che è in sospeso e potrà rimanere a lungo in quella precaria condizione. Così come nei rapporti interpersonali che non potranno più essere aggiustati o che siano in attesa di un giudizio futuro. La consapevolezza di ciò che, forse, è il significato della vita. Andare avanti e imparare, apprendere dai mutamenti e sentirsi consapevolmente fragili, sebbene l’età adulta consenta meno sconti agli occhi della vita stessa, che ci osserva attraverso il tempo e le sue possibili trasformazioni. Un film certamente positivo, nonostante alcune problematiche sociali, narrate con rispetto e una visione accorta, siano molto serie e sempre attuali. Certi intimi smarrimenti attraversano i ruoli e le generazioni, trascendendo il loro tempo di appartenenza. Questo da a tutto il film un senso d’immensità, una specifica coscienza in comunione al genere umano. Credo sia assolutamente un film da vedere, realizzato senza la precisa volontà di artifizi aggiunti. Contano soltanto l’estesa esplorazione dei variegati sentimenti umani e il loro lungo, mutevole cammino.

Scritto da Roberto Anzaldi ©

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